Antonio Molinari
(Venezia, 1655 – 1704)
Rebecca ed Eliezer al pozzo
XVII secolo
Olio su tela, 147 x 196 cm
Expertise/ conferma attributiva: dipinto realizzato su disegno preparatorio, oggi conservato nella collezione del museo del Louvre
MOLINARI, Antonio. – Nacque a Venezia il 21 genn. 1655 da Giovanni e una non meglio precisata Paolina (Moretti,1979, p. 67). La formazione del M. avvenne sotto la guida del padre, pittore, e di Antonio Zanchi. Il primo documento che attesta l’attività pittorica del M. è il libro dei conti della famiglia Correggio, in cui si legge che nel 1671 realizzò le copie di nove quadri di Zanchi (ibid., pp. 191 s.). Considerato l’elevato numero di copie da un solo autore, questa notizia è ritenuta la prova documentale dell’appartenenza del M. alla bottega di Zanchi (Craievich, 2005, p. 33). Non è possibile precisare per quanto tempo il M. abbia frequentato questa bottega; tuttavia le sue prime opere autonome risalgono al 1678. Quell’anno, infatti, firmò il ritratto di Elena Lucrezia Corner Piscopia, conservato al Museo civico di Padova. Il dipinto, realizzato secondo la tipologia dei ritratti da frontespizio, celebra la laurea in filosofia conseguita dalla figlia del procuratore Giovan Battista Corner Piscopia, che si può considerare il primo committente noto del Molinari. Tra il 1678 e il 1681 eseguì il Giudizio universale nella chiesa del convento francescano di Makarska, in Dalmazia. Pubblicata quaranta anni fa, la grande tela, che reca la firma del M., era stata datata 1684-85, destando una certa perplessità a causa della sua modesta qualità (Prijatelj). Il rinvenimento nell’archivio del convento dalmata dei documenti che anticipano di alcuni anni la datazione del telero ha consentito di giustificarne le debolezze formali in quanto opera di un artista esordiente (Craievich, 2007). Fino ai primi anni Ottanta il M. lavorò sotto l’influsso dei tenebrosi, soprattutto Zanchi e Carl Loth, da cui trasse un repertorio di clichés, sotto il segno del naturalismo e di un’accentuata emotività delle scene. Sono riferite a questo periodo opere come la Susanna e i vecchioni (collezione privata) e La vendetta di Tomiri (Staatliche Gemäldegalerie di Kassel), ispirata al medesimo soggetto dipinto da Zanchi per il palazzo Widmann, in cui si può ravvisare un primo allontanamento del M. dal crudo naturalismo della generazione precedente. Nel 1682 furono collocate nella chiesa dell’Ospedaletto a Venezia le prime opere pubbliche del M.: la Natività della Vergine e la Visitazione. In questi dipinti si riconosce una evidente presa di distanza dalla cultura dei tenebrosi, attraverso l’adozione di morbidi effetti atmosferici e fisionomie più aggraziate. In questa fase il M. si giovò dell’esempio di Loth, che stava abbandonando l’irruenza degli anni precedenti a favore di una pittura più elegante, in cui il naturalismo tenebroso si conciliava con le nuove tendenze del barocchetto marattesco. La maturazione del M. è particolarmente evidente nella tela con la Cattura di Sansone (Madrid, collezione privata), in cui il confronto con Zanchi, Loth e Luca Giordano è risolto in uno stile personale, caratterizzato da una accentuata teatralità dei gesti, da una tavolozza chiara e da una notevole fluidità della pennellata. Il M., di cui non è nota la data di nozze, ebbe i figli Girolamo Zuanne (1680), Angela Maria (1681), Giovan Battista Pasqualino (1683, padrino di battesimo fu il procuratore Corner Piscopia), Zuanne Maria (1686) e infine nel 1688 Paulina Cattarina (Moretti, 1979, p. 59). Dotato ormai di una propria cifra stilistica, negli anni successivi il M. ottenne un notevole successo con la produzione di quadri da stanza che raffigurano episodi di carattere storico, mitologico o biblico, la cui fortuna è testimoniata dall’esistenza di più redazioni di alcuni soggetti. Spesso questi dipinti celebrano famose eroine, come Porzia o Sofonisba, talvolta raffigurano personaggi della storia romana, come nel caso di Nerone davanti al cadavere di Agrippina (Kassel, Staatliche Gemäldegalerie) o di Antonio e Cleopatra (Bassano del Grappa, Museo civico). Le quattro tele con Ipsicrate, Sofonisba, Artemisia e Cornelia (Carzago della Riviera, Fondazione Sorlini) sono esemplari della modalità con cui il M. affrontò tali soggetti: i protagonisti sono effigiati in pose teatrali sullo sfondo di scenografie classiche, in cui compaiono sovente drappi e basi di archi, che assumono la caratteristica di un «marchio di fabbrica» per questo genere di quadri di ispirazione morale. Nel corso degli anni Novanta il M. vide una crescita del proprio prestigio tra i pittori veneziani, in seguito ad alcune importanti committenze pubbliche. Tra il 1694 e il 1695 dipinse il Trasporto dell’Arca dell’alleanza per la chiesa del Corpus Domini, in cui, abbandonati i toni scuri e le violenze naturalistiche dei tenebrosi, dispiegò una spaziosa composizione all’aria aperta, caratterizzata da colori luminosi e da una accentuata fluidità pittorica. La scena è composta da gruppi di figure monumentali, in cui si riconosce l’influsso delle opere di Pietro Berrettini da Cortona, che nel Ratto delle Sabine dei Musei Capitolini aveva dato una chiara dimostrazione di tale impianto figurativo. Il debito del M. nei confronti di Berrettini è d’altra parte confermato dalla Battaglia dei Centauri e dei Lapiti di Ca’ Rezzonico, eseguita nel 1698, in cui il pittore si esercitò in una citazione del Ratto delle Sabine di Berrettini. Risale al 1699 il telero con la Moltiplicazione dei pani per la chiesa di S. Pantalon, in cui il M. dimostrò un abile controllo della composizione e la consueta fluidità pittorica, nonostante le grandi dimensioni e l’elevato numero di figure. In un anno successivo al 1695 dipinse La traslazione del corpo di s. Marco per la parrocchiale di Crespano del Grappa, di cui è noto anche il modello, conservato al Museo civico Borgogna di Vercelli. La processione, che si svolge nella piazzetta di fronte alla Libreria Sansoviniana, è raffigurata indulgendo sui sontuosi paramenti dei sacerdoti, secondo una impostazione data al soggetto da Pietro Della Vecchia nel mosaico della porta di S. Alpidio nella basilica di S. Marco. La scenografia urbana, con la Libreria ben riconoscibile sullo sfondo, è descritta con tale accuratezza da porsi come una anticipazione del vedutismo settecentesco. Al termine del secolo il M. era uno dei pittori più rinomati della Serenissima. Nel 1699, dopo essere stato nel 1682 consigliere, ricoprì la carica di sindaco del Collegio dei pittori, segno di un pieno inserimento nella scena artistica della città (Moretti, 1979, p. 59). Si colloca a cavallo tra il vecchio e il nuovo secolo l’esecuzione della Clemenza di Scipione (già Londra, mercato antiquario), che dimostra una evoluzione nel trattamento dei soggetti storici di carattere edificante. La scena è ambientata all’aperto, con figure intere quasi a dimensione naturale, che intessono una fitta rete di gesti e di sguardi, frutto in una regia sofisticata ed esperta. Il languore rococò e il recupero dei modelli veronesiani, perseguiti dagli artisti più giovani come Antonio Bellucci e Sebastiano Ricci, emergono nelle ultime opere del M., che seppe abbandonare il linguaggio dei tenebrosi con cui aveva esordito venti anni prima. Gli esempi più significativi della sua tarda evoluzione sono la pala d’altare con I ss. Andrea, Lucia, Giovanni Evangelista e Pantaleone, dipinta per la chiesa di S. Paolo a San Paolo d’Argon (Bergamo), e il Bacco e Arianna, eseguito per il palazzo Ducale. La tavolozza squillante, le proporzioni longilinee delle figure e il languido sentimentalismo che caratterizzano queste opere sono l’ultimo contributo del M. alla storia della pittura veneziana a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo. Il M. morì a Venezia il 3 febbr. 1704 per una «infiamatione» e fu sepolto nella chiesa di S. Margherita (ibid.,p. 65). L’attività grafica del M. è documentata da due ampie raccolte di disegni, custodite all’Accademia del Museum Kunst Palast di Düsseldorf e al Gabinetto dei disegni del Louvre. Fu un abilissimo disegnatore, caratterizzato da un tratto estremamente fluido, in grado di riassumere una intera composizione con pochi segni aggrovigliati. I disegni, che sono spesso modelli grafici per i dipinti, hanno costituito il principale strumento per la definizione del corpus delle opere su tela. Il M. ebbe certamente una bottega molto fiorente, in cui gli allievi erano impiegati nella produzione di repliche dei suoi quadri da stanza e nell’assistenza al maestro nell’esecuzione delle impegnative committenze ecclesiastiche. Tuttavia l’unico documento che attesta l’esistenza della bottega del M. è una dichiarazione di Ubaldo Muzzuoli, suocero di Giambattista Piazzetta, il quale nel 1724 affermò che il genero «veniva dirimpetto a casa mia dal signor Molinari per imparar l’arte del dipingere» (Id., 1984-85, p. 361). La morte del M. fu presumibilmente la causa che spinse Piazzetta a trasferirsi a Bologna dove fu allievo di Giuseppe Maria Crespi. L’influsso del M. è rintracciabile nelle prime opere di Piazzetta, come l’Abele morto e il Buon Samaritano provenienti dalla collezione Schulenburg, in cui si può ravvisare l’utilizzo di tipologie desunte dalle opere del maestro. Indipendentemente dalla bottega, tuttavia, il M. lasciò una importante eredità attraverso il suo influsso, che si esercitò tanto su artisti coetanei, come Angelo Trevisani e Antonio Arrigoni, quanto su quelli più giovani, come Antonio Pellegrini.