Il santo penitente, presentaro in piedi, impugna la croce e porta una mano al petto. Sopra una grande pietra, che assolve la funzione di un altare improvvisato, è poggiato un teschio, attributo della vanità di tutte le cose. Girolamo indossa un candido perizoma, con il manto purpureo adagiato sulla mensa (unico accenno alla sua dignità cardinalizia), con il busto inclinato verso destra, mettendo in scena un intenso dialogo con il crocifisso. Il santo ha abbandonato l'habitus dello studioso per concentrarsi in quel muto colloquio con Cristo. Non vi sono più fogli su cui scrivere, né strumenti per farlo, e neppure candele a rischiarare il buio dell'ignoranza: resta solo l'esperienza mistica, la penitenza e l'abbandono totale alla fede. Tale iconografia, frequente nella pittura italiana e particolarmente diffusa sin dal Cinquecento, esplose nel secolo successivo soprattutto in ambito caravaggesco, quando venne enfatizzata l'immagine ascetica e contemplativa di Girolamo nella solitudine del deserto e nel disprezzo delle cose terrene.
L'inedito dipinto, giunto ai nostri giorni in buono stato conservativo, costituisce un importante originale di Pasquale Chiesa, riferibile all'ultimo decennio della breve carriera del pittore genovese, attivo prevalentemente a Roma dal quarto decennio del Seicento. L'in teresse per l'artista negli studi è relativamente recente, perché prima dei fondamentali contributi di Eduard A. Safarik, Andrea G. De Marchi e Gianni Papi, il pittore era pressoché sconosciuto agli studi (Safarik 1996; Id. 1997, PP. 20S/206; De Marchi 1996, PP. 5I 54 e nn. 42/SI, P. 57; Il Palazzo 1999, PP. 212/214, 226; De Marchi 2016, PP. II3/118; Papi 2020). Un altro contributo decisivo è stato quello di Luca Calenne, che ha potuto ulteriormente passare in rassegna al tre tracce di Chiesa in diversi inventari antichi (Pietro Paolo Avila, Antonio Barberini, il cavalier Petrucci, Paolo Falconieri), e ha soprattutto sottolineato il rapporto dell'artista con Salvator Rosa, e, tramite questi, con l'intellettuale e collezionista pisano Giovan Battista Ricciardi, al quale sarebbero appartenuti quattro o cinque suoi dipinti (Calenne 2017).
Tornando al quadro in esame, possiamo citare, tra i diversi possibili confronti con le prime opere cerre del piettore, alcune tele raffiguranti canuti vegliardi documentate nell'inventario dei beni di Camillo Pamphilj del 1650: il «San Pietro pentito», il «San Paolo eremita» e il «San Gerolamo», che evidenziano una simile resa dei volti e del trattamento dei panneggi (le opere sono attualmente conservate alla Galleria Doria Pamphilj).
Nel dipinto sono lampanti i richiami all'arte di Ribera e di Mattia Preti. Tali riferimenti, del resto, trassero in inganno gli stessi antichi estensori delle liste Pamphilj, nelle quali i dipinti del genovese vennero attribuiti nel corso del Settecento al pennello del Cavalier Calabrese, a quello di Lanfranco e, soprattutto, a quello di Ribera (De Marchi 2016, Pp. 113/118). Chiesa quindi può essere annoverato a buon diritto fra gli esponenti più illustri dell'ultima ondata caravaggesca dei decenni centrali del xvII secolo.
Un confronto ancora più eclatante con il dipinto in esame è offerto dal «Diogene» transitato di recente sul mercato antiquario francese, attribuito al pittore da Gianni Papi (2020, p. I66); un'opera che, di nuovo, mostra rapporti significativi col Ribera romano e napoletano. L'artista sembra aver scelto come modello lo stesso vecchio ritratto dal naturale nella tela qui presentata (o perlomeno è recuperata la stessa tipologia di vecchio barbuto con la fronte rugosa). Un ulteriore termine di paragone con lo stesso tipo fisionomico lo si riscontra anche in un altro dipinto raffigurante il medesimo soggetto, pubblicato nel 2006 da Francesco Petrucci (Mola e il suo tempo 2005, pp. 80, 8I). Il trattamento del manto rosso di Girolamo, infine, richiama nelle forme e nella resa luministica i panneggi dell'«Incredulità di san Tommaso» conservata presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna, di recente restituita a Chiesa da Gianni Papi (2020, Pp. 167168).
[YURI PRIMAROSA]
-estratto del catalogo: "Galleria Giamblanco Trent'anni di attività".